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Regolamento affitti brevi 2025: La guida DEFINITIVA avanzata

Tabella dei Contenuti

Introduzione


Il regolamento affitti brevi 2025 in Italia sta vivendo una svolta importante, con normative nazionali più rigide e un nuovo ruolo affidato ai Comuni. Negli ultimi anni il boom delle locazioni turistiche di breve durata (spesso tramite piattaforme online) ha spinto il legislatore a introdurre nuove regole per gli affitti brevi. Dal Codice Identificativo Nazionale (CIN) obbligatorio per ogni alloggio turistico, ai requisiti di sicurezza antincendio, fino alle limitazioni imposte nelle città d’arte, il 2025 porta diversi cambiamenti.

In questo articolo analizziamo le novità normative, i poteri attribuiti ai Comuni (zone vietate, contingentamenti e obblighi), le restrizioni nei principali Comuni (Firenze, Milano, Venezia, Napoli, Roma, Bologna), la sentenza del Consiglio di Stato del 7 aprile 2025, gli adempimenti per ottenere o mantenere il CIN, e le nuove modalità di riscossione della tassa di soggiorno con i relativi controlli incrociati.

Novità normative nazionali 2024-2025 sugli affitti brevi

Nel biennio 2024-2025 sono entrate in vigore importanti novità legislative per regolamentare gli affitti brevi, con l’obiettivo di aumentare la trasparenza fiscale, la sicurezza degli alloggi e contenere gli effetti negativi dell’overtourism. Ecco le principali:

  • Codice Identificativo Nazionale (CIN) – Introdotto con l’art. 13-ter del Decreto-Legge 18 dicembre 2023 n. 145, il CIN è un codice alfanumerico univoco assegnato ad ogni immobile destinato ad affitti brevi o attività ricettiva. Dal 1° gennaio 2025 il CIN è obbligatorio su tutto il territorio nazionale: ogni appartamento, casa vacanze, B&B o stanza in affitto breve deve essere censito nella Banca Dati Nazionale delle Strutture Ricettive (BDSR) del Ministero del Turismo. Il codice va esposto all’esterno dell’immobile (su targhe o citofoni, nel rispetto di vincoli urbanistici) e indicato in ogni annuncio pubblico dell’alloggio. Chi non richiede il CIN o non lo utilizza correttamente rischia sanzioni amministrative pesanti (multe da 800 a 8.000 € se manca il CIN, e da 500 a 5.000 € se non viene esposto negli annunci. Si tratta di una misura per stanare gli affitti brevi abusivi e consentire controlli più efficaci.

 

  • Requisiti di sicurezza e antincendio – Contestualmente al CIN, il legislatore ha imposto obblighi di sicurezza negli alloggi dati in locazione breve. In base all’art. 13-ter comma 7 del DL 145/2023, dal 2 novembre 2024 ogni immobile locato per finalità turistiche deve essere dotato di dispositivi di sicurezza minimi. In particolare sono obbligatori:

 

  • rilevatori funzionanti di gas combustibili e di monossido di carbonio in casa
  • almeno un estintore portatile per piano, posizionato in luogo visibile

 

Questi obblighi valgono sia per i locatori privati non imprenditori sia – a maggior ragione – per chi affitta in forma imprenditoriale (in quest’ultimo caso vanno rispettate tutte le norme di sicurezza impiantistica statali e regionali).

La mancata installazione di rilevatori e estintori comporta sanzioni da 600 a 6.000 €.

Inoltre, chi esercita l’attività in forma imprenditoriale ma senza presentare la SCIA al SUAP comunale (Segnalazione Certificata di Inizio Attività, dovuta se si gestiscono più di 3 immobili) rischia sanzioni da 2.000 a 10.000 €.

Queste norme mirano ad aumentare la sicurezza per gli ospiti e i residenti, uniformando gli standard minimi in tutta Italia.

Aumento della tassazione per i multi-host – Per scoraggiare la concentrazione di troppi affitti turistici in mano a pochi operatori, la Legge di Bilancio 2024 ha introdotto una nuova aliquota fiscale per chi affitta più immobili. Dal 1° gennaio 2024, la cedolare secca del 26% (anziché 21%) si applica ai redditi da affitti brevi di chi loca più di un appartamento nell’anno.

In pratica, ogni contribuente può applicare l’aliquota agevolata del 21% solo su un immobile a scelta, mentre i redditi degli altri immobili dati in locazione breve saranno tassati al 26%. Questa misura colpisce i cosiddetti multi-host (proprietari di più case vacanze) e intende riequilibrare la concorrenza con le strutture alberghiere, oltre a incentivare il ritorno di parte degli immobili sul mercato degli affitti residenziali di lungo periodo.

Il nuovo ruolo dei Comuni nella regolamentazione degli affitti brevi

Tradizionalmente le locazioni turistiche non imprenditoriali (ossia effettuate da privati, senza servizi aggiuntivi) erano considerate semplici contratti di natura privata, su cui i Comuni avevano pochi margini di intervento. La situazione però sta cambiando: pressati dall’emergenza abitativa e dal turismo di massa, molti Comuni italiani hanno reclamato strumenti per regolare gli affitti brevi sul territorio. Il quadro normativo vede un delicato intreccio di competenze tra Stato, Regioni e enti locali: dopo la riforma del Titolo V della Costituzione (2001), il Turismo è materia di competenza regionale esclusiva, mentre allo Stato spettano compiti trasversali come la tutela della concorrenza e l’ordinamento civile (ambiti in cui rientra il diritto di affittare immobili).

In assenza di norme regionali specifiche, i Comuni fino a ieri potevano solo esercitare funzioni di vigilanza e controllo sulle attività ricettive, ma non emanare regolamenti autonomi in materia di locazioni brevi.

Oggi, grazie a nuove leggi e pronunce giurisprudenziali, il ruolo dei Comuni si sta ridefinendo: da un lato alcune Regioni hanno emanato norme che attribuiscono poteri regolamentari ai Comuni in zone a forte pressione turistica; dall’altro lato la giustizia amministrativa (TAR e Consiglio di Stato) ha fissato paletti invalicabili per tutelare la libertà di iniziativa privata.

Vediamo i principali poteri e limiti dei Comuni sugli affitti brevi nel 2025:

  • Individuazione di “zone rosse” con divieti o limiti agli affitti brevi: Diversi Comuni puntano a tutelare i centri storici e le aree più delicate dichiarando uno stop alle nuove locazioni turistiche in tali zone. Ad esempio, il Comune di Firenze nel 2023 ha adottato una variante urbanistica per vietare l’uso di immobili del centro storico Unesco come “residenza temporanea” (locazioni turistiche brevi). Allo stesso modo Venezia ha predisposto un regolamento sperimentale che limita le locazioni brevi nella città antica a 120 giorni l’anno, sospendendo nuovi permessi oltre tale soglia.Tali zone rosse, però, devono poggiare su un fondamento normativo superiore: Venezia è riuscita ad agire grazie a un regime speciale concessole dal Decreto Aiuti n.50/2022, che le consente di introdurre regole urbanistiche a tutela della residenzialità nel centro storico. Altre città (es. Firenze) finora non avevano pari facoltà, ma stanno arrivando leggi regionali ad hoc (vedi il caso della Toscana di seguito). In sintesi, i Comuni possono delimitare aree “sensibili” dove l’affitto turistico è vietato o contingentato, purché ciò sia previsto da norme regionali o statali specifiche, altrimenti rischiano l’annullamento per eccesso di competenza.

 

  • Contingentamento e autorizzazioni a numero chiuso: Una strategia emergente è sottoporre gli affitti brevi a un regime autorizzatorio comunale. La nuova legge regionale della Toscana (Testo Unico sul Turismo, entrato in vigore il 9 gennaio 2025) offre un modello: nei Comuni a alta densità turistica la Regione può accordare al Comune la possibilità di emanare un regolamento che subordina l’attività di locazione breve a un’autorizzazione quinquennale, rilasciata per ciascun immobile. Il Comune, in accordo con la Regione, può individuare zone specifiche e fissare un limite massimo di autorizzazioni concedibili in ogni area. In pratica, le locazioni turistiche diventano a “numero chiuso” nelle zone più turistiche: esauriti i permessi disponibili, nessun nuovo alloggio potrà essere destinato ad affitti brevi fino a revoche o ampliamenti decisi dall’ente locale. Questo contingentamento è una risposta al problema della saturazione turistica: garantisce un tetto al fenomeno e preserva una quota di alloggi per la residenza stabile. Ad esempio, Firenze potrà sfruttare questa legge regionale per formalizzare lo stop nel centro storico in modo giuridicamente solido, trasformando il divieto generale (impugnato al TAR) in un sistema di autorizzazioni limitate territorialmente.

 

  • Requisiti urbanistici e dimensionali: Alcuni Comuni intervengono attraverso i regolamenti edilizi e urbanistici, imponendo standard minimi agli alloggi turistici. Il caso di Bologna è emblematico: nel 2024 il Comune ha introdotto nel Piano Urbanistico Generale una nuova categoria d’uso (“B3 – turistico-ricettiva”) e ha stabilito che nessun appartamento sotto i 50 m² può ottenere il cambio di destinazione d’uso da residenziale a turistico-ricettivo. In pratica, a Bologna è vietato iniziare attività di affitto breve in monolocali o bilocali minuscoli del centro storico – spesso utilizzati finora come mini case-vacanza – per evitare la frammentazione eccessiva del tessuto abitativo. Questa norma di superficie minima (50 mq) è stata contestata da alcuni proprietari, ma il TAR Emilia-Romagna ne ha confermato la legittimità respingendo i ricorsi: è stata giudicata una misura proporzionata per prevenire lo “svuotamento” residenziale del centro.

 

  • Obblighi di comunicazione e controllo: Indipendentemente da divieti o limiti, tutti i Comuni hanno il potere (e il dovere) di far rispettare le normative nazionali e regionali sugli affitti brevi tramite controlli e sanzioni. Ad esempio, i locatori devono inviare al Comune (spesso tramite portali dedicati) una comunicazione di inizio attività prima di affittare per fini turistici, indicando i dati dell’immobile e la capacità ricettiva. In molte Regioni questo adempimento è codificato per legge: in Campania, la L.R. 16/2019 (modificata nel 2023) obbliga a comunicare al Suap comunale l’avvio della locazione breve, allegando una dichiarazione sui requisiti igienico-sanitari e di sicurezza dell’alloggio. Inoltre va comunicato mensilmente il movimento degli ospiti (presenze) attraverso il portale turistico regionale, e denunciata la presenza di ospiti alle autorità di pubblica sicurezza. La mancata comunicazione al Comune dell’attività di affitto breve comporta in Campania una sanzione da 500 a 2.000 €. In generale, i Comuni di tutta Italia stanno potenziando i propri uffici dedicati al turismo e al controllo delle locazioni (Unità antiabusivismo, task force della Polizia Locale, ecc.) per verificare che ogni alloggio pubblicizzato sui portali sia regolarmente registrato e in regola con CIN, imposta di soggiorno e normative edilizie. Ad esempio, Milano e Roma hanno attivato sportelli online (“Fare Impresa – Locazioni brevi” per Milano) dove reperire informazioni sul CIN e segnalare la propria attività, facilitando così il censimento. Napoli, tramite l’Avviso Pubblico del 7 gennaio 2024, ha ribadito agli host l’obbligo di rispettare tutte le procedure (SCIA ove dovuta, codice identificativo regionale – CUSR – poi CIN, comunicazione degli ospiti, pagamento dell’imposta di soggiorno). I Comuni dunque non possono vietare arbitrariamente gli affitti brevi (come vedremo, lo ha sancito il Consiglio di Stato), ma possono imporre obblighi procedurali stringenti e sanzionare chi non li rispetta.

 

Come riepilogo, riportiamo una tabella comparativa delle misure adottate o programmate nelle principali città italiane riguardo agli affitti brevi:

 

Città Zone vietate o a numero chiuso Limiti temporali Requisiti aggiuntivi Note
Firenze Sì – Previsto stop a nuove locazioni brevi nell’Area Unesco (centro storico) tramite regolamento urbanistico. Da attuare con autorizzazioni contingentate (legge reg. Toscana 2025). Non introdotti limiti di giorni/anno (per ora). Alloggio destinato a locazione turistica breve deve avere superficie ≥ 28 m² (per immobili avviati dal 2024). Vietato uso di keybox nel centro (check-in di persona obbligatorio). Delibera comunale n.39/2023 impugnata al TAR e in fase di adeguamento alle nuove norme regionali. Previsti incentivi fiscali a chi torna all’affitto residenziale (rimborso IMU).
Milano No – Nessuna zona interdetta specifica (normativa regionale lombarda non prevede regolamenti comunali autonomi) Nessun limite di giorni all’anno imposto localmente. Obbligo di CIR (Codice Identificativo Regionale) dal 2018 per annunci (ora sostituito dal CIN nazionale). Controlli su idoneità igienico-sanitaria e rispetto regolamenti condominiali. Milano applica soprattutto le norme nazionali e regionali: vigilanza intensificata, canale dedicato per comunicazioni al SUAP, sanzioni a chi affitta in nero. Nessuna stretta aggiuntiva deliberata nel 2024.
Venezia Sì – Regolamento sperimentale 2024-2026: nel centro storico l’affitto breve >120 giorni/anno è permesso solo ai registrati in un Elenco comunale apposito (SCIA da presentare entro 120 gg dall’adozione della norma). Dopo tale finestra, sospensione delle nuove iscrizioni fino a fine 2026. Sì: max 120 giorni/anno per affitti turistici nella “città antica”. Chi vuole superare 120 giorni deve rientrare nel registro sperimentale (se iscritto in tempo). Check-in obbligatoriamente in presenza (no self check-in). Possibile estensione obbligo di residenza per locatore (in discussione). Misure rese possibili da poteri speciali statali per Venezia (Decreto Aiuti 2022). Obiettivo: tutela della residenza e patrimonio storico. Ulteriori restrizioni possibili dal 2026 in base ai risultati della sperimentazione.
Napoli No – Nessuna zona vietata finora. Regione Campania non ha introdotto contingentamenti territoriali. Nessun limite locale sul numero di giorni annui. Obbligo di CUSR (Codice Unico Strutture Ricettive) regionale fino al 2024, ora CIN. SCIA obbligatoria se attività di casa vacanze imprenditoriale. Comunicazione preventiva al Comune con autodichiarazione su sicurezza impianti regionali. Napoli ha un forte incremento di affitti brevi, ma finora si affida al rispetto della disciplina regionale. Federproprietà locale ha auspicato un tetto percentuale agli affitti brevi, ma non normato. Il Comune punta su controlli incrociati e collaborazione con piattaforme per riscossione tassa soggiorno.
Roma In arrivo – A dicembre 2024 introdotta categoria urbanistica ad hoc per alloggi turistici nel Centro storico. Previsto entro metà 2025 un Regolamento comunale che potrà fissare limiti al numero di affitti brevi per isolato o condominio (es. una percentuale massima di abitazioni ad uso turistico per edificio). Fino all’adozione del regolamento, clausola di salvaguardia: stop a nuovi cambi d’uso verso locazioni turistiche nel centro. Da definire – Possibile introduzione di un limite 120 giorni/anno nel regolamento comunale (sul modello veneziano o toscano). Al momento non vigente. Già vietati dal PRG i frazionamenti di unità abitative se finalizzati a crearne di nuove per affitti brevi. Si valuta obbligo di residenza del proprietario nello stesso stabile per affittare brevemente (proposta in discussione). Roma non aveva finora regolamentazione specifica sugli affitti brevi, ma sta correndo ai ripari in vista del Giubileo 2025. L’orientamento è salvaguardare il tessuto socio-culturale: verranno probabilmente esclusi dal limite i B&B regolarmente autorizzati (già disciplinati a livello regionale) e colpiti gli affitti “puri” non imprenditoriali massicci.
Bologna Sì – Divieto per appartamenti <50 m² nel centro storico di essere destinati a locazione breve. Occorre superficie ≥50 mq per cambio destinazione d’uso a turistico-ricettivo. Numero di autorizzazioni contingentato implicitamente da tale vincolo strutturale. Nessun limite di giorni, ma chi affitta deve aver ottenuto cambio d’uso a B3 turistico-ricettivo (non richiesto se affitto occasionale senza servizi, ma in tal caso l’immobile <50 mq non può essere promosso come casa vacanze). SCIA edilizia obbligatoria per trasformare un appartamento in struttura ricettiva extra-alberghiera. Requisiti di agibilità, sicurezza e accessibilità come da regolamento edilizio. TAR ER ha confermato legittimità della norma 50mq. Bologna ha anticipato molti comuni approvando nel 2023 varianti urbanistiche per limitare l’eccesso di affitti brevi. Ad oggi (2025) il modello “50 mq minimo” è un precedente seguito con interesse da altre città. Le associazioni di host hanno annunciato appello al Consiglio di Stato, ma per ora la regola è in vigore.

La sentenza del Consiglio di Stato del 7 aprile 2025 e le implicazioni

Un evento chiave per il settore è la sentenza n. 2928/2025 del Consiglio di Stato, pubblicata il 7 aprile 2025, che chiarisce in maniera definitiva i limiti dei poteri comunali sulle locazioni turistiche. Questa pronuncia nasce da un contenzioso in Lombardia: una cittadina aveva impugnato un regolamento comunale che imponeva vincoli aggiuntivi e addirittura le vietava di affittare due propri immobili a turisti, trattandola alla stregua di un’attività ricettiva imprenditoriale.

Il Consiglio di Stato ha annullato il provvedimento comunale e sancito alcuni principi di diritto molto importanti:

  • Le locazioni turistiche effettuate da privati (senza servizi da hotel, B&B, ecc.) non costituiscono attività imprenditoriale e rientrano nella libera contrattazione tra privati, tutelata dall’ordinamento civile. Pertanto i Comuni non possono vietare o sottoporre ad autorizzazione la stipula di contratti di affitto breve in immobili residenziali, salvo quanto previsto da leggi statali o regionali. Vietare gli affitti brevi privati equivarrebbe a violare la libertà di iniziativa economica e il diritto di godimento della proprietà privata garantiti dalla legge.

 

  • Un Comune non può imporre obblighi aggiuntivi ai locatori privati oltre quelli stabiliti dalle norme di livello superiore. Nel caso esaminato, il Comune aveva richiesto documentazione extra (es. progetti sugli impianti, certificati non previsti dalla legge regionale) e aveva dichiarato “irricevibile” la comunicazione di inizio attività della proprietaria per asserite mancanze. Il Consiglio di Stato ha definito illegittima la richiesta di documenti ulteriori non previsti dalla normativa regionale. Se la legge regionale richiede solo la planimetria, il Comune non può pretendere altro, né respingere la comunicazione per “mancanza di allegati”.

 

  • La locazione breve non comporta un cambio di destinazione d’uso edilizio tale da richiedere permessi di costruire o CILA, a meno che non vengano effettuati lavori o si violino specifiche norme edilizie. Affittare a turisti non trasforma automaticamente l’immobile in struttura ricettiva (casa vacanze imprenditoriale) se l’attività è saltuaria e senza organizzazione d’impresa. Dunque il Comune non può subordinare l’affitto a requisiti urbanistici non applicabili o pretendere che l’immobile abbia standard da struttura ricettiva (es. stanze di tot mq, accessibilità per disabili, ecc.) – requisiti che valgono solo se l’attività viene esercitata professionalmente come casa vacanze o affittacamere.

 

  • I Comuni possono intervenire sugli immobili adibiti ad affitti brevi solo per violazioni specifiche, ad esempio se un alloggio presenta abusi edilizi o gravi carenze igienico-sanitarie. In tal caso l’azione è sulla regolarità dell’immobile (ordine di ripristino, inibizione dell’uso finché non a norma), ma non possono vietare in assoluto di stipulare contratti di locazione. Detto in altre parole: se l’appartamento non è a norma, il Comune può sanzionare l’abuso edilizio o igienico; una volta regolarizzato, nulla osta a che il proprietario lo affitti a chi vuole, anche per brevi periodi.

 

Questa sentenza – pur riferita al caso specifico – costituisce un precedente giurisprudenziale di riferimento. Conferma che per gli affitti brevi “puri” (non imprenditoriali) il potere dei Comuni è limitato: niente divieti generalizzati, niente licenze comunali arbitrarie, niente balzelli extra oltre a ciò che Stato o Regione prevedono.

I locatori privati devono solo rispettare gli obblighi di legge (es. comunicazione al Comune ai fini statistici, oggi integrata nel sistema CIN9 e non sono tenuti a presentare SCIA o altre autorizzazioni per affittare casa propria.

L’unica eccezione evidenziata dal Consiglio di Stato riguarda chi oltrepassa la soglia della non imprenditorialità: gestire più di 3-4 immobili per affitti brevi implica attività d’impresa e allora scattano gli obblighi conseguenti (SCIA, rispetto normative ricettive, ecc.). Ma sotto quella soglia, vale la libertà contrattuale.

Le implicazioni pratiche sono rilevanti: molti regolamenti comunali restrittivi adottati negli ultimi anni potrebbero essere contestati alla luce di questa sentenza. Ad esempio, il blocco degli affitti brevi a Firenze nell’area Unesco, se attuato senza base in una legge regionale (come era inizialmente con la delibera 2023), rischiava di essere annullato per violazione della libertà di affittare. Non a caso, il TAR Toscana nel luglio 2024 ha sospeso quella delibera, rilevando vizi di legittimità.

La Toscana ha poi corso ai ripari con una legge che fornisce ai Comuni il potere di regolamentare (e quindi sanare il vizio di competenza).

In generale, i Comuni ora sanno che possono agire solo entro confini normativi precisi: devono appoggiarsi a norme regionali (o speciali statali) e non possono assimilare tout court l’affitto breve privato a una struttura ricettiva. I proprietari, dal canto loro, possono appellarsi a questa giurisprudenza per opporsi a sanzioni o dinieghi ritenuti illegittimi.

In conclusione, la sentenza del Consiglio di Stato 2928/2025 rafforza il principio che l’affitto breve di un immobile privato è un diritto del proprietario, esercitabile liberamente entro i limiti di legge, e frena gli eccessi di regolamentazione locale non supportati dalla legge.

(Per ulteriori approfondimenti sulle implicazioni della sentenza e sulla differenza tra locazione turistica e attività ricettiva, vedi anche l’articolo HomeUnity Affitti brevi nel 2025: nuove regole, sezione dedicata ai limiti per i Comuni.)

Obblighi e documentazione per ottenere (e mantenere) il CIN

Il Codice Identificativo Nazionale (CIN) è ormai il perno del sistema di regolamentazione degli affitti brevi in Italia. Vediamo come richiedere il CIN e quali adempimenti/documenti servono, sia inizialmente che per mantenerlo aggiornato.

Chi deve richiedere il CIN?
Sono tenuti a munirsi di CIN tutti i proprietari o gestori che offrono immobili in affitto per brevi periodi turistici. In particolare la norma include:

  • I titolari/gestori di strutture ricettive alberghiere ed extralberghiere (come hotel, B&B, affittacamere, agriturismi, case vacanze imprenditoriali, ostelli, campeggi, etc.) definiti dalla legge regionale di settore.

 

  • I locatori di unità abitative per finalità turistiche, anche in forma non imprenditoriale (ossia il classico proprietario che affitta casa propria ai turisti, rientrante nella definizione di locazione breve ex art. 4 DL 50/2017).

 

Nota: L’obbligo vige anche se l’immobile ha già un codice identificativo locale (regionale o provinciale). Ad esempio, chi possedeva il CIR lombardo o il CUSR campano deve comunque dotarsi di CIN nazionale.

La procedura nazionale è integrata con le banche dati regionali, ma richiede un’attivazione da parte del locatore. Il Ministero del Turismo ha chiarito che chi ottiene un nuovo codice regionale ha 30 giorni di tempo per richiedere il CIN. Se invece la regione ritarda nel rilascio del codice locale, scattano 10 giorni dalla scadenza del termine regionale per fare richiesta del CIN.

Insomma, il doppio binario codice regionale + CIN va coordinato entro circa un mese. Dal 1° gennaio 2025 comunque non esistono eccezioni: ogni spazio affittato a turisti da Nord a Sud deve risultare censito nel portale nazionale.

Procedura per ottenere il CIN:


La richiesta del Codice Identificativo Nazionale avviene interamente online tramite il portale dedicato (BDRS) del Ministero del Turismo. I passi da seguire sono:

  1. Registrazione al portale – Collegarsi al sito bdsr.ministeroturismo.gov.it nella sezione “Ottieni CIN”. Occorre autenticarsi con credenziali digitali SPID oppure CIE (Carta d’Identità Elettronica).
  2. Verifica immobili – Una volta loggati, il sistema mostra l’elenco delle proprietà già associate al proprio codice fiscale (dati incrociati con catasto e/o codici regionali pregressi). Se un immobile risulta mancante, si può utilizzare la funzione “Segnala struttura mancante” allegando i dati richiesti, purché la regione di appartenenza sia attiva nel sistema.
  3. Richiesta codice – Per ciascun immobile da adibire ad affitti brevi, si accede al “dettaglio scheda” e si clicca su “Ottieni CIN”. Verrà richiesto di compilare un form online inserendo o confermando:
    • I dati catastali dell’unità immobiliare (foglio, particella, subalterno, ecc.), a conferma della proprietà.
    • Il numero di posti letto offerti e altre caratteristiche ricettive (es. presenza di cucina, accessibilità, dotazioni particolari).
    • La natura del soggetto locatore: persona fisica privata (senza P. IVA) oppure impresa/operatore con P. IVA.
  4. Dichiarazioni obbligatorie – Contestualmente alla richiesta del CIN, il portale richiede di presentare un’autodichiarazione (dichiarazione sostitutiva di atto notorio) in cui il proprietario/gestore attesta una serie di requisiti. In particolare si dichiara sotto propria responsabilità:
    • I dati identificativi catastali dell’alloggio (per confermare la corrispondenza con quanto inserito online).
    • La sussistenza dei requisiti di sicurezza: ovvero che l’immobile è dotato di rilevatori di gas e monossido e di estintori portatili a norma di legge, come richiesto dal DL 145/2023.
    • (Solo se si opera in forma imprenditoriale) il rispetto dei requisiti di sicurezza degli impianti previsti dalla normativa statale e regionale vigente (certificazioni impianto elettrico, gas, prevenzione incendi se dovuto, ecc.).
  5. Conferma e assegnazione – Dopo aver compilato e confermato tutti i dati, il sistema genera il Codice Identificativo Nazionale per quella struttura. Il CIN viene assegnato automaticamente dal Ministero del Turismo e comunicato al richiedente (di solito reso disponibile immediatamente sul portale stesso e inviato via PEC/email). Da quel momento il codice è attivo e va utilizzato in ogni comunicazione.

 

L’intero processo è gratuito; tuttavia, va ricordato che false dichiarazioni nell’autocertificazione sui requisiti comportano responsabilità anche penale in caso di controlli, quindi è fondamentale assicurarsi di aver installato davvero gli apparecchi di sicurezza prima di attestarlo.

Uso e mantenimento del CIN:
Ottenuto il Codice Identificativo Nazionale, il proprietario deve mantenerlo in regola. Questo implica:

  • Esposizione e pubblicizzazione – Come accennato, il codice va esposto all’ingresso dell’immobile (ad es. su un cartello all’interno del portone o vicino al campanello) e deve comparire in tutti gli annunci online e offline relativi all’affitto di quell’immobile. L’obbligo vale per qualunque mezzo: inserzioni su portali (Airbnb, Booking, ecc.), agenzie, social network, volantini pubblicitari. La finalità è rendere sempre identificabile la struttura dalle autorità e dai turisti (che così possono verificare se un alloggio è regolare cercandolo nel database pubblico).

 

  • Comunicazioni di variazione – Se cambiano alcuni dati sostanziali, bisogna aggiornare la posizione. Ad esempio, se la Regione assegna un nuovo codice identificativo regionale (CIR) o modifica quello esistente, il locatore deve entro 30 giorni aggiungerlo nel portale (come visto sopra). Anche variazioni nella capacità (posti letto) o nella titolarità della gestione vanno comunicate. In caso di cessazione dell’attività (si smette di affittare l’immobile), va presumibilmente effettuata una comunicazione di chiusura/cancellazione del CIN tramite il portale, per evitare di risultare inattivi ma inadempienti. Le linee guida ministeriali invitano a tenere aggiornate le informazioni per non incorrere in sanzioni.

 

  • Rispetto degli obblighi di sicurezza continuativo – Mantenere il CIN significa anche mantenere i requisiti dichiarati. Gli estintori, ad esempio, vanno tenuti a norma (revisione periodica annuale), i rilevatori devono essere funzionanti e sostituiti alla scadenza delle batterie o del sensore. In caso di controlli a campione, le autorità verificheranno che quanto dichiarato nell’istanza CIN corrisponde al vero. Se venisse accertata la mancanza di un dispositivo obbligatorio successivamente all’assegnazione del codice, potrebbe configurarsi un illecito sanzionabile (le norme prevedono sanzioni specifiche proprio per il mancato rispetto degli obblighi di sicurezza, distinguendole dalle sanzioni per il CIN: ad es. sanzione 600–6.000 € per assenza di rilevatori gas/CO o estintori).

 

  • Rinnovo autorizzazioni locali – In alcune realtà, per “mantenere” valido il CIN potrebbe essere necessario rinnovare parallele autorizzazioni comunali. Ad esempio, se un Comune (come in Toscana) richiederà una licenza quinquennale per affitti brevi in centro storico, allo scadere dei 5 anni il proprietario dovrà riottenere l’autorizzazione locale per continuare ad operare, pur avendo già un CIN nazionale. Il CIN in sé non ha scadenza, ma va visto come complementare ad eventuali permessi locali: non li sostituisce. Quindi attenzione a rispettare anche eventuali termini di rinnovo comunali per non incorrere in decadenze.

 

In sostanza, il CIN è un adempimento centrale per affittare brevi periodi nel 2025: è al tempo stesso uno strumento di trasparenza (per identificare ogni alloggio turistico) e di semplificazione (un database unico che unifica le vecchie registrazioni sparse).

I proprietari che ancora non l’hanno fatto devono muoversi – inizialmente il termine per dotarsi di CIN era il 2 novembre 2024, poi prorogato tecnicamente fino al 1° gennaio 2025. Ora siamo in regime ordinario: chi inizia una nuova attività deve prendere subito il codice, chi già affittava doveva adeguarsi entro fine 2024.

Ricordiamo infine che sono previste sanzioni salate per chi non si mette in regola: oltre alle multe già citate per assenza o mancata esposizione del codice, la normativa prevede la possibilità di sospendere l’attività ricettiva per chi persiste nelle violazioni.

Dunque, ottenere e conservare il proprio CIN attivo e rispettato è fondamentale per continuare a operare negli affitti brevi.

Tassa di soggiorno: nuove modalità di riscossione e controlli incrociati

La tassa di soggiorno è il tributo comunale dovuto dai turisti che soggiornano nelle strutture ricettive (inclusi gli appartamenti in affitto breve) e rappresenta un altro fronte di novità e maggiore rigore nel 2025.

Negli ultimi anni molti Comuni hanno alzato le aliquote e, soprattutto, il Governo ha introdotto strumenti telematici di controllo incrociato per contrastare l’evasione di questa imposta. Ecco cosa c’è da sapere:

  • Dichiarazione annuale telematica obbligatoria – Dal 2022 è stato istituito l’obbligo per tutti i gestori di strutture e locazioni turistiche di inviare entro il 30 giugno di ogni anno una dichiarazione annuale dell’imposta di soggiorno relativa all’anno precedente. Questa dichiarazione si effettua tramite un’apposita applicazione sul portale dei servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate (Entratel/Fisconline) ed è unificata a livello nazionale. Devono presentarla sia i titolari (host) delle strutture, sia – novità importante – gli intermediari che incassano il pagamento per conto dei proprietari (ad esempio portali OTA, property manager, agenzie immobiliari). Ciò significa che, ad esempio, Airbnb, Booking.com o il gestore a cui avete affidato casa dovranno anch’essi dichiarare quanto riscosso come tassa di soggiorno. Lo scopo è avere un quadro chiaro e incrociato: l’intermediario dichiarerà dal suo lato le somme versate, il proprietario dichiarerà dal suo lato le somme dovute (anche se versate da Airbnb). La mancata presentazione della dichiarazione espone a sanzioni dal 100% al 200% dell’importo dell’imposta dovuta su base annuale. Un dettaglio cruciale: la sanzione si applica sull’intero ammontare dell’imposta dell’anno, anche se l’host non l’ha incassata direttamente ma è stata riscossa dal portale. Dunque, se un proprietario fa usare Airbnb che versa direttamente la tassa al Comune, ma il proprietario non presenta la dichiarazione annuale, rischia comunque una multa pari a quella che pagherebbe un evasore totale! Questo meccanismo “a tenaglia” incentiva fortemente i locatori a compilare la dichiarazione ogni anno, anche per importi che di fatto sono già stati versati da altri. Le FAQ del MEF (Ministero Economia e Finanze) hanno chiarito proprio questo punto: anche gli host che usano esclusivamente piattaforme OTA devono presentare la dichiarazione, dal 2022 in poi.

 

  • Intermediari responsabili d’imposta – Già dal DL 50/2017 era previsto che i soggetti che intermediano locazioni brevi fossero coinvolti nella riscossione e versamento delle imposte (basti pensare alla ritenuta del 21% sul canone, che portali e agenti devono operare come sostituti d’imposta). Sul fronte tassa di soggiorno, molti Comuni hanno siglato accordi con Airbnb e simili affinché le piattaforme riscuotano automaticamente la tassa dal turista e la riversino al Comune (avviene a Roma, Milano, Firenze, Venezia e altre città). Dal 2023 questo ruolo degli intermediari è diventato ancora più ufficiale: il DM 29/4/2022 del MEF ha definito che portali e property manager sono “responsabili d’imposta” per la tassa di soggiorno. Ciò implica che, se incassano denaro dal cliente per conto del proprietario, devono assicurarsi che la tassa di soggiorno venga versata e dichiarata. Se omettono di farlo, ne rispondono in solido col proprietario. Il problema attuale è che la piattaforma dell’Agenzia Entrate per la dichiarazione annuale non consente ancora a tutti gli intermediari di accreditarsi con il loro ruolo specifico (al momento possono operare direttamente solo gli agenti immobiliari abilitati, mentre per portali OTA e gestori si stanno approntando soluzioni). Nonostante queste difficoltà tecniche, la norma c’è ed è operativa: i Comuni possono sanzionare l’intermediario che non versa la tassa, e lo Stato li obbliga a dichiarare quanto dovuto. Nei prossimi anni è attesa un’evoluzione informatica che permetta il dialogo diretto tra portali e fisco locale per semplificare tali adempimenti.

 

  • Riscossione semplificata e digitale – Sul versante pratico, molti Comuni hanno adottato portali online per la gestione dell’imposta di soggiorno. Strumenti come PayTourist, Tourist Tax o sistemi proprietari comunali consentono al proprietario di dichiarare mensilmente i pernottamenti e calcolare l’imposta dovuta da versare. Alcune città hanno introdotto la possibilità di versare con F24 (il modello usato per imposte erariali), codice tributo dedicato, facilitando il pagamento cumulativo periodico. Altre inviano bollettini PagoPA precompilati. L’obiettivo è duplice: rendere più agevole al host onesto pagare il dovuto e creare al contempo tracce telematiche facilmente confrontabili con i dati di presenze e prenotazioni. Ad esempio, se un proprietario comunica alla Questura 100 turisti nell’anno e dichiara al Comune solo 50 presenze ai fini dell’imposta, scatta un alert. I controlli incrociati oggi attingono da varie banche dati:
    • Alloggiati Web (Polizia di Stato): registra ogni persona ospitata a fini di P.S.
    • BDRS (Ministero Turismo): registra l’esistenza di un’attività con CIN e (in prospettiva) potrebbe integrare i flussi turistici comunicati ai sistemi regionali/ISTAT.
    • Dichiarazioni annuali e comunicazioni periodiche: mostrano quante presenze ha dichiarato fiscalmente il gestore.

 

  • Incrociando queste fonti, Comuni e Guardia di Finanza possono individuare facilmente discrepanze. Il 2025 vedrà un potenziamento di tali incroci: il MEF ha annunciato che integrerà i dati dei CIN nelle Certificazioni Uniche (CU) fornite dagli intermediari, in modo da collegare ogni flusso finanziario all’immobile di riferimento. Questo significa che se Airbnb emette una CU 2025 per le somme versate a un proprietario, indicherà anche il CIN dell’alloggio: l’Agenzia delle Entrate potrà così verificare se quell’immobile ha versato la relativa tassa di soggiorno al Comune e se il reddito è stato dichiarato. Siamo dunque verso un sistema in cui “nulla sfugge”: un affitto breve genera dati che il Comune, lo Stato e le Regioni si scambiano per assicurare il rispetto di ogni obbligo (fiscale, turistico, di sicurezza).

 

  • Aumenti delle tariffe e nuove esenzioni – Infine, sul fronte normativo locale, diversi Comuni nel 2024-2025 hanno aggiornato i regolamenti della tassa di soggiorno. Ad esempio, alcune città d’arte hanno alzato il massimale per notte (Roma discute di portarlo a 6-7 € a persona in alta stagione; Firenze ha aumentato le tariffe per gli appartamenti turistici equiparandoli quasi agli hotel). All’opposto, ci sono state modifiche alle esenzioni: per esempio, l’età dei bambini esenti, o riduzioni per soggiorni lunghi oltre una certa notte (spesso la tassa è dovuta solo per i primi 5 o 7 giorni di permanenza). È importante che i proprietari si tengano aggiornati sul Regolamento comunale del luogo dove operano, perché aliquote e regole possono cambiare anno per anno. Ricordiamo che il gettito dell’imposta finanzia servizi pubblici legati al turismo e che l’evasione di questo tributo è particolarmente mal vista dalle amministrazioni locali. Nel 2025 alcune città hanno raddoppiato le sanzioni amministrative per chi viene scoperto a non applicare o non versare la tassa ai propri ospiti. Dunque, oltre alla dichiarazione annuale statale, va effettuato puntualmente il versamento al Comune secondo le modalità richieste (mensile, trimestrale o altra cadenza, a seconda del Comune). L’omesso versamento è sanzionato di norma con una percentuale (30% più interessi, come per ogni tributo locale), ma se reiterato può far scattare provvedimenti come la sospensione dell’attività ricettiva da parte del Comune.

 

In conclusione, la gestione degli affitti brevi nel 2025 richiede una maggiore professionalità e attenzione agli obblighi: registro nazionale (CIN), sicurezza e antincendi, fisco (cedolare al 26% se multi-host), regole comunali (zone vietate o permessi), tassa di soggiorno e relativi adempimenti.

Queste misure mirano a far emergere il sommerso e mitigare gli effetti negativi sul mercato abitativo, senza però azzerare un fenomeno che contribuisce in modo significativo all’offerta turistica. Chi intende affittare una casa ai turisti deve quindi informarsi bene e restare aggiornato.

Per fortuna, risorse non mancano: dal portale del Ministero del Turismo (dove sono disponibili FAQ e guide CIN) ai siti dei principali Comuni, fino a servizi di consulenza specializzata come HomeUnity che offrono assistenza completa nella gestione degli affitti brevi alla luce delle ultime normative.

Rimanere in regola oggi è più impegnativo, ma garantisce una maggiore sostenibilità e qualità dell’offerta di affitti brevi in Italia per gli anni a venire.

(Se sei interessato ad approfondire altri aspetti – ad esempio come la normativa degli affitti brevi incide sul mercato immobiliare locale, o quali strategie adottare per adeguarsi senza perdere redditività – ti invitiamo a consultare gli altri articoli sul blog HomeUnity e le nostre guide pratiche sul tema.)

 

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